Una donna si guarda allo specchio, ma al posto della sua immagine riflessa vede una bambina. Quella bambina decide di interrogarsi, un po’ per gioco, un po’ per fare i conti con quell'anima ludica talvolta mortificata dalle incombenze quotidiane, sul significato di quello che le accade intorno. E sceglie di farlo con l’atteggiamento illusorio ed infantile di chi ha tutta la vita davanti e pensa di poterla vivere a modo proprio, scegliendo senza aspettare di essere scelti, vivendo senza lasciarsi sopravvivere, continuando a stupirsi delle aberranti azioni dell’uomo senza assuefarsi alla sua follia.
Convinta di essere libera e di poter
godere fino all'ultimo sorso di quella dimensione orgasmica che
solo un profondo senso di libertà può dare. Ed è in quel preciso istante, avvolta in
quella coperta di Linus accogliente e morbida, che quella donna trova il
coraggio di sfiorare alcune di quelle pietre spigolose che ognuno di noi si
china a raccogliere lungo il proprio cammino. Un atto che ciascuno in fondo
compie ogni giorno, raccogliendo frammenti petrosi dalle forme più insolite da
ricomporre come un puzzle per innalzare le proprie personali mura. Mura alte e
invalicabili fatte di pregiudizi e preconcetti; di percezioni distorte ed
interpretazioni errate; di bisogni celati e ostentata aggressività. Mura
spaventose che ci isolano dagli altri relegandoci in una nicchia solo
apparentemente dorata e rassicurante. Mura che ci fanno sentire più forti
perché ci impediscono di guardare al di là del nostro porto sicuro. Mura
insonorizzate che ci fanno sentire rilassati per qualche istante perché ci
impediscono di ascoltare le urla di aiuto dei nostri simili. Mura che rievocano
un chimerico senso di libertà, ma che a guardarle più da vicino
personificano la nostra paura degli altri e ci ingabbiano in spazi angusti in
cui si rischia di restare soffocati dalle proprie angosce.
Ai nostri giorni, il perseguimento dei
propri ideali e la realizzazione delle proprie aspirazioni, per molti, sembrano
un’irraggiungibile chimera perché l’uomo ha smesso di lottare per la propria libertà e
autoaffermazione e sembra cercare riparo trincerandosi dietro le proprie paure e
debolezze. Chiuso nel personale microcosmo intento a lucidare i souvenir
esposti in bella mostra nel proprio salotto. Spaventato all'idea che
un terremoto possa anche solo scalfire le proprie mura e costringerlo a
guardare al di là del proprio rifugio.
Si teme l’altro, forse perché entrare in relazione con qualcuno ci obbliga a metterci in discussione. Si ha paura di ascoltare chi ci siede accanto perché si attende ancora che qualcuno ascolti le parole che da anni ci urlano dentro. Ci si infastidisce all'idea di un contatto fisico inaspettato probabilmente perché aspettiamo ancora quella carezza o quella rassicurante pacca sulla spalla di quel nostro amico che non vediamo da tempo e che ci ostiniamo a non chiamare aspettando che sia lui a fare il primo passo. Ci si inibisce all'idea di rivolgere un “come stai?” a chi ci troviamo di fronte perché la sua risposta potrebbe obbligarci a starlo ad ascoltare. Ci si morde il labbro prima di farne uscire parole d’amore forse perché oggi il corteggiamento ci viene presentato come un evento imprescindibile da una telecamera ed un improbabile trono. Ci si sfrega gli occhi pur di non farne uscire una lacrima perché si teme di apparire fragili e privi di difese o di fare da specchio al dolore altrui. Si elude il rischio di incontrare l’altro, di incontrarlo veramente presentandosi a casa sua con la propria valigia piena delle cocenti sconfitte, dei sogni segreti lasciati putrefare in fondo ad un cassetto tarlato, delle pesanti incertezze che ci tengono svegli in piena notte a guardare il soffitto, di tutti i propri “forse” e “che sarà mai?” accumulati nel tempo. Si preferisce nascondersi nella fantasmatica illusione di sicurezza che le mura innalzate ci offrono, spiando furtivamente il mondo da una piccola scalfitura come un voyeur in procinto di essere scoperto: un voyeurismo che è la grande malattia a cui le “democratiche dittature mass mediatiche occidentali" oggi ci hanno anestetizzato. Un comune delirio collettivo in cui ognuno decide su quale palco salire, quale copione imparare e quale parte recitare.
Dovrebbe bastare quest’inquietante consapevolezza per spingerci quella donna ad abbattere le mura che la circondano. Perché sono le invalicabili fortezze, quelle che ci costruiamo ogni giorno con le nostre stesse mani a legittimare gli invisibili totalitarismi del nostro tempo e ad impedirci di ritrovare quell'aspirazione a costruire quelle autentiche relazioni con l’altro che ci farebbero sentire davvero liberi e impedirebbero a chi dovrebbe aiutarci a ritrovarla, di privarci di quella stessa libertà! Perché se è vero che è l’utopia di tutti i tempi quella di cambiare il mondo, la chimera inseguita da santi, filosofi e cantori, il miraggio di grandi uomini che hanno immolato la propria vita all' Altare della Giustizia, è una sfida possibile quella di provare a cambiare se stessi…almeno un po’…almeno per gioco… almeno per assaporare un po’ di libertà…
Si teme l’altro, forse perché entrare in relazione con qualcuno ci obbliga a metterci in discussione. Si ha paura di ascoltare chi ci siede accanto perché si attende ancora che qualcuno ascolti le parole che da anni ci urlano dentro. Ci si infastidisce all'idea di un contatto fisico inaspettato probabilmente perché aspettiamo ancora quella carezza o quella rassicurante pacca sulla spalla di quel nostro amico che non vediamo da tempo e che ci ostiniamo a non chiamare aspettando che sia lui a fare il primo passo. Ci si inibisce all'idea di rivolgere un “come stai?” a chi ci troviamo di fronte perché la sua risposta potrebbe obbligarci a starlo ad ascoltare. Ci si morde il labbro prima di farne uscire parole d’amore forse perché oggi il corteggiamento ci viene presentato come un evento imprescindibile da una telecamera ed un improbabile trono. Ci si sfrega gli occhi pur di non farne uscire una lacrima perché si teme di apparire fragili e privi di difese o di fare da specchio al dolore altrui. Si elude il rischio di incontrare l’altro, di incontrarlo veramente presentandosi a casa sua con la propria valigia piena delle cocenti sconfitte, dei sogni segreti lasciati putrefare in fondo ad un cassetto tarlato, delle pesanti incertezze che ci tengono svegli in piena notte a guardare il soffitto, di tutti i propri “forse” e “che sarà mai?” accumulati nel tempo. Si preferisce nascondersi nella fantasmatica illusione di sicurezza che le mura innalzate ci offrono, spiando furtivamente il mondo da una piccola scalfitura come un voyeur in procinto di essere scoperto: un voyeurismo che è la grande malattia a cui le “democratiche dittature mass mediatiche occidentali" oggi ci hanno anestetizzato. Un comune delirio collettivo in cui ognuno decide su quale palco salire, quale copione imparare e quale parte recitare.
Dovrebbe bastare quest’inquietante consapevolezza per spingerci quella donna ad abbattere le mura che la circondano. Perché sono le invalicabili fortezze, quelle che ci costruiamo ogni giorno con le nostre stesse mani a legittimare gli invisibili totalitarismi del nostro tempo e ad impedirci di ritrovare quell'aspirazione a costruire quelle autentiche relazioni con l’altro che ci farebbero sentire davvero liberi e impedirebbero a chi dovrebbe aiutarci a ritrovarla, di privarci di quella stessa libertà! Perché se è vero che è l’utopia di tutti i tempi quella di cambiare il mondo, la chimera inseguita da santi, filosofi e cantori, il miraggio di grandi uomini che hanno immolato la propria vita all' Altare della Giustizia, è una sfida possibile quella di provare a cambiare se stessi…almeno un po’…almeno per gioco… almeno per assaporare un po’ di libertà…
Nessun commento:
Posta un commento